Il Troubadour, dove fu scritta la storia del Rock

Il Troubadour, dove fu scritta la storia del Rock
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Quando Bob Dylan giunse a Londra per la prima volta, l’unico consiglio del suo mentore Pete Seeger fu di cercare “Anthea e il Trobadour”. Era il 1962 e il caffè di Chelsea era già una leggenda della musica e della controcultura. Il cantautore ventunenne varcò una porta in legno dai decori pittoreschi e prese contatto con Anthea Joseph, la giovanissima organizzatrice di eventi del locale: si sarebbe esibito la sera di Natale con il nome di Blind Boy Grunt. Nella selvaggia Earl’s Court, il Troubadour evocava con il nome i menestrelli del Medioevo, ma nelle sue sale fumose pulsava il cuore di una rivoluzione contemporanea. Qui era nata la satira corrosiva del Private Eye, come pure il movimento pacifista CND contro il disarmo nucleare; e qui si sarebbero incontrate le Black Panther nel ’68, dopo i disordini di Parigi. Ma il nome del Troubadour è legato soprattutto all’universo rock, folk e blues: quello di Bob Dylan e di Jimi Hendrix, di Joni Mitchell e di Elton John, di Elvis Costello, di Morrissey e dei Led Zeppelin, che si sono esibiti a Earl’s Court in memorabili concerti o in jam session improvvisate. Diversamente dagli altri caffè di quegli anni, il Troubadour non ha mai chiuso i battenti. Ha cambiato più volte proprietario senza tradire la sua vocazione, si è rinnovato e ampliato per continuare ad ospitare grandi nomi della scena musicale: da Amos Lee ad Adele, dai Morcheeba a Ed Sheeran, da Paolo Nutini a Jack Peñate e ai Dead 60s.
Francesca Grego - © 2020 ARTE.it per Bulgari Hotel London