Indirizzo: Bedulu, Kec. Blahbatuh, Kabupaten Gianyar
A sei chilometri da Ubud, presso il villaggio di Bedulu, la Grotta dell’Elefante è uno dei siti archeologici più suggestivi dell’isola. Il suo nome nasconde un piccolo mistero: nell’antica Bali, infatti, non c’erano elefanti. Una statua di Ganesha potrebbe fornire la soluzione, poiché nella tradizione induista il dio della scienza e della saggezza ha le sembianze di un pachiderma con tanto di proboscide. Secondo altri, invece, il nome del santuario deriverebbe da quello di un fiume vicino, chiamato appunto “Elefanti”. Al di là dell’enigma irrisolto, Goa Gajah è una meta da non perdere per la sua bellezza antica. La bocca spalancata di un demone annuncia l’entrata della caverna nei pressi di un albero altissimo, sullo sfondo della giungla: è l’immagine di Bhoma, il Dio della Terra induista, o della Strega Rangda, una creatura della mitologia balinese. Figure di animali e spiriti proteggono l’ingresso, catturando le passioni e i cattivi pensieri dei pellegrini. All’interno, scolpite in alcune nicchie, si trovano le rappresentazioni dei principi di lingam e yoni - maschile e femminile - e di alcune divinità hindu. Intorno alla grotta l’area è ancora generosa di sorprese: sono tutte da scoprire la piscina con le sette fontane dedicate ai fiumi dell’India e le rovine di un santuario buddista che nell’VIII secolo non doveva apparire molto diverso dai famosi Templi di Borobudur e di Angkor Vat.
Il copricapo femminile che narra storie e tradizioni
Parte dell’abito cerimoniale, il tradizionale copricapo dorato è un ornamento femminile indossato nei grandi giorni: il matrimonio e il raggiungimento della maggiore età.
Sulle colline di Bali, Ubud sorge al confine tra la foresta tropicale e le risaie terrazzate costellate di templi e santuari indù, tra i più famosi dell'isola.
Scritto dallo studioso balinese I Made Bandem e dallo storico dell'arte americano Bruce W. Carpenter, questo splendido studio sulle maschere come antica forma d'arte è un libro riccamente illustrato, con oltre 1000 immagini a colori del fotografo Doddy Obenk.
Quando Michael White, a quel tempo giovane studente di architettura di Sydney salpò per Bali nel 1973, rimase così colpito dall'isola che decise di non tornare più indietro. Made Wijaya, questo il nome che si diede dopo la conversione all'induismo, ha mappato gli edifici storici e i giardini tropocali di Bali, lasciando un patrimonio fotografico di grande valore.