L’ultimo capolavoro di Michelangelo: la Pietà Rondanini
Luogo: Castello Sforzesco
Indirizzo: Piazza Castello
“La scultura più commovente che sia mai stata creata da un artista”: così il moderno Henry Moore ha definito la Pietà Rondanini, l’opera più fragile e imperfetta di Michelangelo, e forse per questo una delle più poetiche. Il marmo che oggi ammiriamo al Castello Sforzesco accompagnò il genio rinascimentale per quasi 15 anni. Come racconta Giorgio Vasari, Michelangelo iniziò a lavorarci subito dopo la Pietà Bandini. Poi lo abbandonò nel suo studio romano, alle spalle di Piazza Venezia, per riprenderlo tra le mani intorno agli ottant’anni. La porzione inferiore, con le gambe di Cristo, era praticamente finita. Ma il vecchio Maestro era in vena di rivoluzioni: distrusse la parte superiore e trasse dal corpo della Vergine il busto del Figlio, quasi a farlo rinascere. La morte sorprese Michelangelo mentre era ancora al lavoro, facendo di quest’opera una sorta di testamento spirituale. Coraggiosamente innovativa nel suo impianto verticale, la Pietà Rondanini vede alternarsi parti perfettamente rifinite e altre allo stato quasi grezzo. Definirla semplicemente “incompiuta” è riduttivo. Qui la poetica michelangiolesca del non finito incontra i turbamenti e le consapevolezze di un’esistenza al tramonto: la scultura del Castello Sforzesco ci tocca perché punta tutto sull’intensità del rapporto tra madre e figlio, ma anche per la sua capacità di comunicare, intaccando il marmo duro e incorruttibile, il senso profondo dell’imperfezione umana.
Oltre 200 scatti tra cui oltre 60 tra medi e piccoli formati, scelti e selezionati dall’autore e presentati insieme ad un’intervista inedita, ripercorrono la carriera di uno dei più famosi fotografi contemporanei.
Una mostra che ripercorre alcune tappe fondamentali della storia del tatuaggio, una delle più antiche forme di espressione artistica dell’uomo dalle sue origini millenarie fino ad oggi, concentrandosi in particolare sull’area del bacino del Mediterraneo.
La mostra riflette sulla tradizionale concezione della vetrina e sulla sua centralità nei progetti espositivi. Legata all’"esposizione museale classica", la vetrina espone e al contempo separa l’oggetto, offrendolo alla fruizione ma formando una barriera per lo spettatore.
La prima esposizione museale dedicata all’opera di Miranda July ripercorre la carriera trentennale dell’artista, regista e scrittrice americana dagli anni Novanta ad oggi, presentando cortometraggi, performance e installazioni.