Il rigido bon ton della Burlington Arcade

Il rigido bon ton della Burlington Arcade
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George Cavendish, Conte di Burlington desiderava un posto tranquillo per offrire uno shopping sicuro a sua moglie e a tutte le dame del quartiere, lontane dagli sgaurdi indiscreti dei borseggiatori, ma soprattutto necessitava di una sorta di "muro" a protezione del suo giardino. Qui gli indisciplinati frequentatori dei club sulla Old Bond Street erano soliti gettare maleodoranti gusci d'ostrica, all'epoca lo street food più economico e gettonato. Nacque da questi intenti, nel 1819, la Burlington Arcade, la prestigiosa galleria commerciale accanto alla Burlington House, lunga 180 metri e con ben 51 boutique di lusso, progettata dall'architetto Samuel Ware come luogo "per la vendita di gioielli e articoli di fantasia alla moda, per la gratificazione del pubblico". George Cavendish volle porre la galleria sotto la sorveglianza dei Beadle. Ancora oggi questi addetti alla sicurezza ne sorvegliano i portici indossando capi originali d'epoca come il cilindro e la mantella con la rosa rossa Tudor, parte dello stemma della famiglia Cavendish. Di notte i Beadle fanno la guardia, a cancelli chiusi, mentre di giorno vigilano sui passanti assicurandosi soprattutto che venga rispettato il rigido galateo della galleria. Perché, a partire dalla sua apertura, la Burlington Arcade aveva già le regole di bon ton ancora oggi in vigore. Si dice che ai visistatori non sia permesso di fischiare e nemmeno di cantare, correre o parlare ad alta voce. Pare sia mal visto anche camminare con l’ombrello aperto, andare in bici e portare con sé passeggini. Una regola, fortuntamente oggi non più in vigore, vietava il passeggio in galleria con i propri acquisti in mano. A portare i pacchi sulle carrozze in attesa dei clienti, o a recapitarli eventalmente a domicilio, ci pensavano i garzoni delle boutique passando attraverso un corridoio sotterraneo.
Samantha De Martin - © 2020 ARTE.it per Bulgari Hotel London