Da bevanda di corte a rito: l’aperitivo a Milano, una storia lunga 200 anni

Da bevanda di corte a rito: l’aperitivo a Milano, una storia lunga 200 anni
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Si fa presto a dire aperitivo. Il rito italiano in perenne evoluzione, dagli storici bar degli anni di Piombo ai modernissimi piatti gourmet che accompagnano la nuova era della miscelazione, vanta una storia lunga 200 anni che assurge, talvolta, ad autentico storytelling. Tutto ha inizio nella Torino del dopo teatro, delle gonne ampie e del vermouth (o “vèrmot”), la miscela a base di vino, zucchero, erbe aromatiche inventata nel 1786 dall’allora pasticcere Benedetto Carpano. La moda di quella che nel frattempo è divenuta la bevanda ufficiale di corte, sconfina presto nella vicina Milano, passata in vantaggio sui piemontesi grazie ad Ausano Ramazzotti - artefice, nel 1815, del celebre amaro con ben 33 erbe - e a Gaspare Campari che, nel 1860, perfezionò la ricetta del suo bitter rosso. Ci pensano i futuristi a estendere la rivoluzione dalla tela al bicchiere, al pari di una nuova forma d’arte. Banane, datteri, pistacchi, iniziano ad accompagnare le “polibibite” (non sono ancora cocktail), in ritrovi come Savini o Camparino. Dal mitico Jamaica - il caffè frequentato da Piero Manzoni e Salvatore Quasimodo - al Bar Basso, la storia dell’aperitivo a Milano si avvia verso la svolta. Con Mirko Stocchetto, nel 1967, la cultura del bere approda definitivamente nel capoluogo lombardo. Per restarvi per sempre. Sono gli anni del Negroni Sbagliato, del Rossini, del Perseghetto accompagnati da patatine e olive. E se la formula cocktail a pagamento e cibo gratis coniata da Vinicio Valdo spalanca le porte dell’Happy Hour, gli anni 2000 assistono all’evoluzione dell’aperitivo e poi al ritorno alle origini con il trionfo dei classici Americano, Martini, Negroni.
Samantha De Martin - © 2020 ARTE.it per Bulgari Hotel Milano