La nuova mostra del Gilbert & George Centre di Londra dedicata al ciclo Death Hope Life Fear riporta lo sguardo sugli anni decisivi della produzione di Gilbert & George, tra il 1984 e il 1998. È un ritorno ad un periodo in cui il duo definisce la propria grammatica visiva: colori intensi, composizioni a pannelli, presenza costante dei loro corpi come simbolo e strumento di narrazione. Il titolo, tratto da un’opera cardine, rimanda ai temi universali che attraversano questo nucleo di lavori, dalla mortalità alla speranza, senza trattarli in chiave filosofica ma come tensioni quotidiane, filtrate da ironia, disciplina formale e una teatralità che non rinuncia mai ad essere diretta. La selezione di 18 opere offre una lettura compatta di quegli anni, mostrando come il loro linguaggio si fosse fatto più monumentale rispetto alle prime sperimentazioni. Nelle immagini esposte gli artisti non sono più semplici osservatori della città, ma figure centrali, quasi ieratiche, che abitano la scena con una presenza volutamente ingombrante. Lo spazio stesso della mostra, il centro creato dagli artisti nell’East End dove vivono dagli anni Sessanta, amplifica questa dimensione di autorappresentazione e restituisce un’esperienza calibrata sulla loro idea di “arte per tutti”. Non è una retrospettiva né un omaggio celebrativo, ma un’occasione per rivedere un capitolo cruciale della loro storia, in cui la forma si irrigidisce, il colore diventa linguaggio e l’identità visiva del duo si consolida. Una mostra essenziale ma rivelatrice, che permette di osservare da vicino il momento in cui Gilbert & George definiscono se stessi come icone del proprio universo estetico.
La Courtauld Gallery di Londra svela un lato poco noto di Barbara Hepworth: la scultrice che dipingeva il vuoto. Con Hepworth in Colour, forme e pigmenti si intrecciano in un racconto vibrante, dove il colore non decora ma respira dentro la materia.
Al V&A di Londra la mostra Schiaparelli: Fashion Becomes Art racconta il genio visionario di Elsa Schiaparelli, pioniera del dialogo tra moda e surrealismo. Dai celebri abiti creati con Dalí alle nuove sculture di Daniel Roseberry, un viaggio nell’immaginazione senza confini della Maison più audace del Novecento.
La mostra londinese dedicata a Diane Arbus esplora lo spazio intimo e domestico in cui la fotografa statunitense costruiva i suoi ritratti più intensi. Un percorso che rivela la forza di uno sguardo capace di interrogare il pubblico senza compiacimenti, restituendo la complessità di vite spesso ignorate.